Introduzione alla Riabilitazione Neurocognitiva
Un’esperienza di cura a misura d’uomo
Prof.Paolo Montenero
L’approccio neurocognitivo alla riabilitazione si fonda su teorie del controllo motorio e dell’apprendimento, sviluppate nel corso del Novecento.
La riabilitazione è una disciplina clinica che sottende modelli, frutto dello sviluppo di molte scienze di base, dalla neurofisiologia alla psicologia, che possano fornire criteri interpretativi dei deficit funzionali e delle strategie di recupero.
Dopo un evento lesionale che ha comportato un danno, la riabilitazione neuro cognitiva si trova di fronte al problema di come possa avvenire un nuovo apprendimento nelle condizioni in cui il soggetto si viene a trovare e cioè in condizioni patologiche.
Ovvero, se apprendere significa acquisire nuove abilità in maniera stabile, adattabili a molteplici contesti, attraverso complesse e variabili dinamiche biologico-comportamentali, le teorie elaborate all’inizio del Novecento come quella di Sherrington, dei riflessi e quella gerarchica di Jackson non possono dar conto di tali processi.
Viceversa soprattutto gli studi dei ricercatori sovietici, contemporanei tra loro, A.R. Lurija, P.K. Anochin, N.Bernstein, dello statunitense J. Gibson, del tedesco, naturalizzato statunitense, U.Neisser, quelli di H.Maturana e di F.Varela della Scuola di Santiago e del britannico G.Bateson possono costituire, nella differenza dei loro contributi, i fondamenti teorici della metodologia clinica riabilitativa neurocognitiva. Metodologia clinica riabilitativa che ha trovato nel pensiero di C.Perfetti e dei suoi collaboratori sia un’elaborazione concettuale che indirizzi applicativi, dagli anni 70’ del Novecento ai nostri giorni.
Possiamo individuare alcuni aspetti nucleari di tali fondamenti: l’ipotesi percettiva, l’autopoiesi, il processo cognitivo, la coscienza.
Ipotesi percettiva
Neisser aveva ipotizzato che la funzione della mente umana consistesse in una elaborazione d’informazioni (modello HIP, Human Information Processing), attraverso le funzioni corticali quali l’attenzione, la percezione, la memoria, il linguaggio, il pensiero e che non si poteva dissociare il movimento dalla percezione e viceversa. Il soggetto non è una lavagna su cui il mondo scrive i suoi stimoli, ma si dispone in una relazione ecologico-mentale con il mondo, trasforma, riduce, correla, elabora, immagazzina, recupera le informazioni che la sensorialità intercetta.
Tale processo non è passivo, bensì intenzionale, attraverso una ricerca attiva e selettiva delle informazioni che divengono percezioni utili per i propri scopi funzionali. Anche Gibson, grande studioso della percezione ottica, riteneva che il soggetto ricerca attivamente nell’ambiente ciò di cui necessita, spinto da un interesse verso uno scopo.
In effetti, se abbiamo in tasca vari oggetti e abbiamo la necessità di trovarne uno, le dita della nostra mano, orientate dal polso, avvieranno la ricerca. A guidare tali movimenti sarà l’attenzione indirizzata a alcune percezioni critiche tatto-cinestesiche, ma anche termiche, pressorie etc. che emergono dalla relazione dita-oggetti. La selezione avverrà sulla base di ipotesi informazionali anticipatorie, basate sull’esperienza/conoscenza/memoria precedente dell’oggetto ricercato e sulla maggiore o minore concordanza di tali ipotesi con le informazioni raccolte. Alla soddisfacente conferma dell’ipotesi percettiva, estrarremo dalla tasca l’oggetto cercato. L’esperienza di ricerca ripetuta consentirà una progressiva abilità, nel senso che più facilmente e efficacemente la palpazione verrà indirizzata su quelle sorgenti informazionali, fondamentali per l’identificazione dell’oggetto.
L’apprendimento diverrà sempre più rapido e soddisfacente, man mano che avverrà la potatura del ridondante e la focalizzazione sull’essenziale dell’esperienza, corrispondente all’ipotesi anticipatoria.
Questo semplice compito di riconoscimento, attraverso la palpazione di oggetti dispersi e confusi dentro una tasca, costituisce comunque un modo di ridurre il caos informazionale a ordine, un modo cognitivo di procedere, cioè un modo di dare senso al mondo.
Lurija sosteneva che la componente iniziale del movimento umano fosse sempre un’ intenzione o compito motorio, sulla base di un modello del bisogno futuro. Ogni compito motorio è costante o invariante e richiede un risultato altrettanto invariante, anche se quest’ultimo è realizzato con variazioni nella serie di movimenti che portano comunque a un effetto costante, invariante.
In altri termini per realizzare l’intenzione di prendere un oggetto dalla tasca possiamo palpare in modi diversi, ma il risultato dovrà essere comunque quello di estrarre l’oggetto.
Pertanto per garantire, data questa variabilità esecutiva, il raggiungimento dell’invariante risultato desiderato, è necessaria un’innervazione plastica e adattativa delle componenti d’azione muscolare, mantenendo al compito motorio il suo ruolo regolatorio.
La responsabilità passa cosi dagli impulsi efferenti a quelli afferenti, anzi alle sintesi afferenti circa la posizione dell’arto in movimento nello spazio e allo stato muscolare.
L’accettore di azione di Anochin è un apparato di controllo dell’azione e di eventuale correzione di errori, attraverso un confronto tra l’azione in atto e l’intenzione originale. L’ errore motorio viene corretto attraverso una costante ispezione che si avvale quindi di feedback (retroazioni), rispetto al piano originale. Un errore non corretto dipende quindi dal fallimento di questo sistema di controllo e dalla discordanza tra il modello anticipatorio dell’azione e l’azione attuata per inefficacia del feedback oppure dalla inadeguatezza del modello anticipatorio rispetto al contesto reale dell’azione.
La riabilitazione neurocognitiva utilizza tali modelli per la comprensione e il miglioramento clinico dell’atto motorio attraverso il ricorso a ipotesi percettive che riguardano la relazione tra il corpo, inteso come superficie recettoriale, e il mondo.
Il movimento è conoscenza. Attraverso la progressiva esperienza conoscitiva e la maggiore progressiva sovrapposizione tra l’ipotesi e la realtà, avverrà l’evoluzione delle componenti motorie che per effetto del danno ostacolano tale possibilità di concordanza.
Autopoiesi, processo cognitivo
Secondo Maturana e Varela i sistemi viventi sono autopoietici nel senso che si auto producono e si auto organizzano. La cognizione è un processo, emergente nella relazione vivente-mondo, che caratterizza tale autoproduzione e compensa ogni perturbazione ambientale, tendente alla disgregazione della vita.
La riabilitazione neurocognitiva valorizza tale capacità di autoregolazione e auto guarigione personale, mobilizzando risorse di attenzione, memoria, linguaggio e non considerando il soggetto malato un destinatario passivo di tecniche esterne.
Ogni conoscenza è la soluzione di un problema conoscitivo. Ogni problema conoscitivo è contesto dipendente e finalizzato alla migliore adattività del vivente (bio-logica). Ogni conoscenza è quindi variabile, dinamica, interattiva. Cosi il vivente costruisce il suo mondo possibile. La riabilitazione neurocognitiva allestisce pertanto contesti, ove attraverso l’esperienza guidata dall’operatore, la persona, attraverso l’uso corretto di informazioni, possa acquisire conoscenza, ossia azioni efficaci nel rapporto io-mondo.
Coscienza
Conoscenza e interesse, cioè sentimento, affetto, motivazione non sono scindibili.
L’etimologia del termine conoscenza viene dal latino cognosco, ovvero dalle radici cum con, insieme, gno accorgersi, apprendere, sco cominciare a.
Ben diversa da quella del termine coscienza che deriva sempre dal latino, ma da cum scire con sapere, essere consapevole, qualità che caratterizzano profondamente l’essere umano.
A questo proposito la riabilitazione neurocognitiva cerca di rispondere alla domanda: come si modifica il soggetto (nel suo sentire, vissuto, pensiero, linguaggio, creazioni metaforiche) e il suo sistema nervoso nell’interazione cognitiva con il mondo e sé stesso? Per rispondere occorre privilegiare non solo l’atto soggettivo del conoscere, ma l’esperienza coscienziale correlata al conoscere, dolore somatico e psicoemozionale incluso.
L’operatore della riabilitazione si dispone quindi come interfaccia di facilitazione fra il paziente e il suo mondo, guidandone i processi cognitivi, frammentando l’atto stesso del conoscere, valorizzando l’insieme psicocorporeo, per favorire la costruzione da parte del paziente di nuove interazioni con il mondo e l’acquisizione di nuove funzioni.
Secondo Bateson ogni informazione è una differenza che a sua volta produce una differenza, le differenze generano mappe mentali che non si identificano con il territorio di partenza.
In riabilitazione neurocognitiva, condividere obiettivi, ricercare il compito e allestire contesti rappresenta il metodo affinchè il paziente, nell’esperienza post lesionale dia un nuovo senso al suo mondo.
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